Di chi ci innamoreremo in futuro?
Non è solo una domanda retorica.
Sembra ormai certo che il futuro che ci attende vedrà un mondo popolato di androidi: robot apparentemente simili agli uomini, almeno funzionalmente, se non spiritualmente, ma non umani nel modo in cui riconosciamo attualmente l’uomo nella sua naturale essenza. E vedrà un mondo popolato da cyborg: uomini-robot, in parte biologici in parte artificiali.
Il deux ex machina umano sembra incarnarsi così nell’intelligenza artificiale: questo è ora uno dei massimo traguardi che la scienza si propone di raggiungere. Ma quanto lo è dell’umanità?
Se l’obiettivo è l’uomo-macchina, quale sarà il destino della sua anima?
L’anima dell’uomo si potrà costruire artificialmente?
Ci aspetta un futuro in cui gli androidi diventeranno avvocati, medici, magari anche presidenti di Stato: non è fantascienza, ma quello di cui gli scienziati parlano già come parte del presente – la tecnologia sembra possedere già gli strumenti per realizzare questi uomini del futuro.
Marco Antonio Attisani, fondatore e Ceo dell’impresa Watly, parla tranquillamente di un prossimo futuro in cui ci si innamorerà di androidi.
Ma questi nuovi scenari comportano possibili attriti e scompensi sociali. La parte rimasta ancora umana potrà assistere alla minaccia da parte degli androidi e dei cyborg che potranno avere prestazioni molto superiori a quelle umane: essere più forti, più resistenti, vivere più a lungo se non potenzialmente per sempre, assolvere con maggiore capacità ogni funzione fino a quella persino di poter fare innamorare con molta più facilità donne e uomini (conquistare una donna od un uomo molto più facilmente di un banale umano).
Sì, perché questi cyborg o androidi saranno talmente performanti, talmente esenti dall’incomodo e dall’incertezza dell’emotività umana da apparire più sicuri, più audaci, calcando perfettamente la scena come perfetti attori, sapranno incarnare la loro parte, il loro copione nel mondo e il loro ruolo meglio di qualsiasi umano, persino sessualmente non avranno alcuna defaillance, nessuna esitazione mollezza indecisione fragilità umane che spesso rendono meno attraente un uomo agli occhi di una donna, ma molte volte anche una donna agli occhi di un potenziale partner sentimentale.
Gli umani si troveranno ad essere mentalmente e fisicamente inferiori, e forse destinati all’estinzione?
Vincerà la copia dell’uomo, il suo simulacro?
Verrà meno la parte umana dell’uomo e il suo spirito, in questo modo vanificato? E allo stesso modo vanificherà ogni suo valore profondo? Prevarrà l’arrivismo, l’efficienza, il profitto, la performance, la bellezza come espressione di perfezione a discapito della singolarità della morfologia individuale così come dell’indole umana?
Peccato che se ogni cosa risulterà troppo bella non si saprà più cosa sia veramente la bellezza, dove ci sarà solo l’efficienza non si potrà più apprezzarla veramente; e così per l’intelligenza e il profitto. E l’anima si ridurrà ad essere un orpello del passato, qualcosa quasi non più, se non totalmente, concepibile.
I ricordi non saranno più nulla, perché tutto funzionerà alla velocità artificiale. Ci saranno solo archivi da cui pescare e immettere nella funzionalità in tempo presente – o meglio, in nessun tempo. Il tempo sarà abolito.
Insomma, una sorta di narcisismo alla massima potenza.
Perché anche un narcisista ama la perfezione, e perlopiù non può fare a meno di competere, si sente e crede bello, è spesso e volentieri arrivista, e non sa cosa siano i ricordi dal lato più umano e profondo perché vive immerso nel presente rincorrendo le sue aspirazioni e desideri.
I narcisisti sono il cuore primitivo nel lato umano di quello che nel lato della macchina non potranno probabilmente mai incarnare: la sensibilità del cuore e dei sentimenti. Anche se c’è chi pensa che anche un cyborg potrà provare dei sentimenti.
Marco Antonio Attisani fondatore e Weo dell’impresa Watly in una conferenza sul futuro che ci aspetta parla di un futuro in cui i robot metteranno a rischio il potenziale assiologico dell’umanità, i suoi valori profondi, la natura stessa di ciò che è umano. Dice: se noi passeremo a queste tecnologie quegli algoritmi che sono di dominio, controllo, arrivismo, consumismo, competizione, queste tecnologie segneranno la senescenza fulminea della specie umana.[1]
Insomma, come dire che l’uomo non potrà competere con la sua copia perfetta – perfetta per modo di dire, perché gli mancherà l’anima. L’uomo verrà annichilito e distrutto da quello che egli stesso ha voluto diventare: la sua copia narcisistica fatta di arrivismo, appunto, competizione, dominio, controllo.
Paradossalmente, la macchina sconfiggerà la vita da cui è nata e di cui è pur sempre il prodotto. La vita, perlomeno, nel suo senso più spirituale e soggettivo. Perché qual è la massima espressione della vita se non quella cosciente dell’uomo, quella capace di costruzione, evoluzione, ma anche di amore, di cura, di empatia, di sentimento per gli altri?
Resterà forse un mondo che sostituirà ai sentimenti uno stato interiore puramente animistico, simulacro di una civiltà sepolta – se mai si potrà immaginare uno stato “interiore” dell’uomo, come espressione della sua individualità.
Ma, soprattutto, gli uomini verranno meno a causa delle loro stesse emozioni, non solo per il fatto che le macchine saranno più intelligenti. Risulteranno superflui e superati anche perché i sentimenti potranno rappresentare un orpello per la massima efficienza dei robot, un loro possibile freno e deturpamento.
Tuttavia, presumibilmente, l’intelligenza artificiale dei cyborg sarà basata sul calcolo (decisamente su questo supereranno l’uomo).
E il pensiero astratto?
Pensiamo all’inestricabile connessione tra ragione e sentimento individuata da neurofisiologi come Antonio Damasio (1994), il quale riporta il noto caso di Phineas Gage che nel 1948 subì una grave lesione del lobo frontale e della parte del cervello deputata ai sentimenti e questo ne compromise anche la sua elaborazione cognitiva, oltre che la sua stabilità di carattere. Questo ed altri casi simili hanno indicato come anche a livello neurofisiologico la ragione necessiti della parte emotiva ed empatica dell’uomo per potere funzionare.
Attisani dice si creeranno gravi conflitti sociali perché l’uomo sarà considerato inferiore, sarà considerato come la parte antica dell’evoluzione come la scimmia per l’uomo. E non sarà più il dominatore del mondo.
Ma credo che potrebbe essere una grande occasione quella in cui poter rendere l’uomo quasi immortale grazie all’incontro con la tecnologia. A patto che la Mente – e qui intendo mente come l’unione di anima e ragione – sia conservata e non si trasformi in una macchina computazionale a cui sarà magari asservita una facoltà di simulare, dove richiesto, scampoli e paradigmi di emozioni, svuotati però di una loro sussistenza perché disancorati dai sentimenti.
Possiamo decidere se volere dei robot modellati in esseri senz’anima, come alienati super funzionali e super adatti, super performanti; oppure, esseri che possano dirsi ancora “umani”, seppure integrati a sistemi e ad integrazioni artificiali che li possano rendere quasi indistruttibili ed eterni – quest’idea ha certo il suo fascino.
Se l’intento è quello di modellare la mente per renderla super-intelligente il rischio è la costruzione di una mente, per quanto performante, livellata, appiattita, uniformata, che sacrificherà quanto, ora, rappresenta la sua unicità: l’incontro di ragione e di sentimento.
Potrà un cyborg godere del sentimento della grazia, del bello, dello stupore di fronte ad un’opera d’arte, del piacere della lettura di una poesia e della passione nel disquisire di temi fondamentali dell’uomo; e, soprattutto e, veramente, del sentimento d’amore?
[1] XXI Parole Guerriere, Montecitorio, 17/02/2020.
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